Processo Mamerte: assolti gli imputati per
associazione mafiosa. Cosa è accaduto?
IL
PROCESSO
L’anno scorso iniziava il processo scaturito dall’indagine
denominata Mamerte di cui vi avevamo parlato in un post
precedente. L'inchiesta riguarda fatti accaduti
fra il 2007 e 2008 ed è strutturata in due filoni principali: una
parte dedicata al 416-bis, indagine condotta dai Carabinieri, e una
seconda parte condotta dalla Polizia di Stato e Guardia di finanza,
rivolta a reati economici. Nel Febbraio 2016 iniziava quindi
il processo.
1. Come era iniziato il processo legato al reato di associazione
mafiosa a Brescia?
Inizialmente sono state rinviate a giudizio tre
persone (Giuseppe Piromalli,
Salvatore Rachele
e Giovanni Tigranate)
a cui è stato contestato il reato di associazione mafiosa, ex art.
416 – bis c.p., e il giudice viene chiamato a verificare la
sussistenza degli elementi costitutivi dell'associazione di stampo
mafioso. In una seconda fase viene imputato, per la stessa
fattispecie di reato ed in concorso con gli altri tre, anche Giuseppe
Quaranta.
Un capo indiscusso, secondo l’accusa, sarebbe
Giovanni Tigranate (detto “zio Gianni”), il quale, attivo tra
Lumezzane e Laureana
di Borrello (Rc),
proprio in virtù della sua posizione all’interno del sodalizio,
avrebbe assegnato la carica di “Capobastone” a Salvatore Rachele,
che nel frattempo svolgeva l’incarico di messo presso il
Comune di Lumezzane. Quest’ultimo,
riporta l’informativa dei Carabinieri, sarebbe stato quindi il capo
della “locale
lumezzanese”
con il compito di gestire le attività criminali del gruppo, indire
le riunioni operative e punire eventuali “atteggiamenti
indisciplinati”. A Giuseppe Piromalli spettava invece la
funzione di “vicariato del vertice” e, da quanto emerge dalle
indagini, sarebbe stato proprio lui a tentare di contrastare
la leadership di Rachele” come racconteremo in seguito.
Una valutazione positiva delle ipotesi
accusatorie, e la conferma nei successivi gradi di giudizio, avrebbe
costituito una delle poche sentenze giudiziarie che certifica la
presenza di gruppi criminali di stampo mafioso sul territorio
bresciano.
L'esito del processo, però, ha visto un
ribaltamento delle accuse: Paolo
Savio infatti, pm titolare delle
indagini e con un esperienza decennale nella dda bresciana, durante
la requisitoria in aula ha chiesto al giudice l’assoluzione per i 4
imputati “perché il fatto non
sussiste”. Richiesta accolta dal
Tribunale. È importante in questo caso separare chiaramente il
profilo giudiziario del processo da quello che può interessare
un'analisi di tipo sociologico dei fatti ivi contenuti. Nonostante le
assoluzioni, i fatti emersi dalle indagini delle forze dell’ordine
impegnate nell’operazione Mamerte, coordinati dal pm e corroborati
da altri accertamenti di operazioni precedenti, pongono in risalto
dinamiche e relazioni allarmanti che cercheremo di illustrare.
2. I fatti.
L'indagine, denominata Mamerte (il riferimento
è al gruppo di Calabresi di Oppido Mamertina, Infra), racconta
l' evoluzione di un gruppo criminale originario della Valtrompia
dedito al traffico di sostanze stupefacenti. Nello specifico si
segnala la presenza di tre sottogruppi, uno dei quali, allo scopo di
ampliare il proprio business,
ha cominciato a rapportarsi con i Mamertini, personaggi legati alla
'ndrangheta calabrese.
Secondo gli inquirenti, il fine sarebbe stato la creazione di una
locale di ‘ndrangheta con cui controllare il settore degli
stupefacenti e prendere il sopravvento rispetto alle altre realtà
criminali del territorio nonché l’intenzione di abbracciare affari
nuovi e più redditizi (anche in termini di rischi giudiziari): si
pensi al settore del riciclaggio, alla costituzione di società
cartiere, all’evasione delle imposte ecc…
LOCALI
NEL BRESCIANO E OPERAZIONI ANTIMAFIA
Sottolineiamo l’importanza di un gergo
specifico ‘ndranghetista che sarà utile anche a meglio comprendere
il seguito.
La Locale
è l'unità base dell'organizzazione criminale 'ndrangheta: stiamo
parlando di un'unione di famiglie, confederate al fine di controllare
un determinato territorio e i suoi business. La zona della Valtrompia
non è nuova a questi scenari.
1. Operazione “Notte
dei fiori di San Vito”
Già nel 1994, con l'operazione giudiziaria
"Notte dei fiori di San Vito", si venne a conoscenza della
presenza di una locale di 'ndrangheta sul territorio. L'indagine era
rivolta contro il clan Mazzaferro
che aveva come centro operativo principale il capoluogo lombardo. In
particolare l’operazione portò all’esecuzione di più di 350
ordini di cattura e ben 17 ordinanze di custodia coinvolsero soggetti
residenti tra Brescia e provincia. L’apparato organizzativo era
composto da esponenti di famiglie di ‘ndrangheta che,
mimetizzandosi nei flussi migratori sud-nord di quell’epoca,
avviarono traffici illeciti nelle province settentrionali (Milano,
Como, Varese, Brescia).
Il lago di Garda, nello specifico, costituiva
il luogo privilegiato per il reinvestimento dei proventi illeciti
delle cosche derivanti dal traffico di armi e droga, dal racket e dai
sequestri di persona.
Dalle indagini era emerso inoltre come membri
di rilievo del clan fossero a capo proprio della locale di Lumezzane.
A capo del presunto locale di ‘ndrangheta lumezzanese, secondo le
indagini, ci sarebbe stato Giovanni Maduli, di Taurianova (Rc) e
residente a Sarezzo, coinvolto in reati tipicamente mafiosi. A suo
fianco si evidenziavano i nomi di Giulio Cuppari e Giuseppe Romeo,
nato a Galatro, Rc, e residente a Lumezzane, e coinvolto
nell’operazione Centauro che riguardava un grosso giro di droga in
Val Trompia. Alcuni di essi, a distanza di quindici anni, sono
coinvolti nelle attuali vicende: fra cui Giuseppe Piromalli e
Giovanni Tigranate.
2. Operazione “Centauro”
La compagnia dei Carabinieri di Gardone Val
Trompia nel 2008 concludeva le indagini e, assieme alla Dda
bresciana, iniziava il processo che si è concluso poi nel 2011 con
24 condanne e 7 assoluzioni. L’accusa principale è quella di aver
costituito un’associazione a delinquere finalizzata alla gestione
di un imponente traffico di stupefacenti che dalla Calabria
giungevano in Val Trompia. Traffico di cocaina che si avvaleva anche
del savoir faire
di alcune famiglie calabresi in odor di ‘ndrangheta residenti in
Val Gobbia. Tra i soggetti coinvolti, e che ritroviamo in Mamerte,
c’è Giuseppe Piromalli.
L’operazione Centauro, secondo gli
inquirenti, rappresenta una sorta di antefatto di Mamerte sia perché
le due operazioni trattano di uno stesso periodo storico “sia
in quanto i personaggi adesso indagati sono protagonisti di
un’evoluzione consociativa di grande rilievo. L’indagine,
infatti, assume la denominazione “Mamerte” in quanto testimonia
il passaggio, principalmente preteso da Piromalli Giuseppe, dal
“provincialismo” del gruppo Romeo-Aguì (indagato in “Centauro”)
ad una dimensione operativa più estesa, caratterizzata da progetti
illeciti velleitari, di più ampio respiro e volume di cui si è
cercata la realizzazione attraverso contatti ed accordi intessuti con
calabresi originari di Oppido Mamertina appartenenti o contigui alla
cosca Feliciano della frazione di Messignadi, di cui diversi
rappresentanti si sono stabiliti da almeno un decennio in alcuni
paesi dell’ovest bresciano (Rudiano, Chiari, Roccafranca,
Orzinuovi)”.
LE
SIMBOLOGIE E IL CONTESTO MAFIOSO
1. Orzinuovi: summit e capretti
Il 27 Novembre del 2007, presso un cascinale
orceano, si è tenuto quello che potrebbe apparire come un semplice
ritrovo conviviale tra conoscenti; in realtà questo incontro, come
altri tenutisi a scadenza periodica, rappresenta un vero e proprio
summit
mafioso, utile a stringere alleanze e ad elaborare nuove strategie
operative per il sodalizio criminale.
In quell'occasione, secondo gli inquirenti,
sarebbe nato il proposito di dar vita a una locale di 'ndrangheta e
di stringere un'alleanza con dei calabresi di Oppido Mamertina.
È stato un evento che ha avuto risalto sulla
stampa locale per il ritrovamento di un capretto, sgozzato; fatto che
fa subito pensare alla 'ndrangheta e ai suoi riti e simbologie
arcaiche. Colui che ha reso possibile l'avvicinamento fra i due
gruppi ed è stato essenziale nell'organizzazione del summit
è Luca Sirani: originario di Chiari e coinvolto in vicende
giudiziarie comprendenti reati quali riciclaggio, associazione di
stampo mafioso e in particolare anche collegamenti con la Banda della
Magliana, è stato in rapporti con Antonio Nicoletti, il figlio
di Enrico (il “secco” di Romanzo criminale).
Sirani,
assieme a Francesco Scullino, è tra i protagonisti del filone
dell'inchiesta legato alla criminalità economica. Luca Sirani è
stato condannato in abbreviato a 5 anni e sei mesi (Alfredo
Pelligra a 2 anni)mentre
Scullino è stato rinviato a giudizio per 416 semplice (associazione
per delinquere finalizzata alla commissione di reati fiscali). Non
ha retto però al primo grado di giudizio l’accusa di associazione
a delinquere semplice, finalizzata alla commissione di reati fiscali,
di riciclaggio e fallimentari, a carico di Scullino, Isabella Sirani,
Erika Carera e Alfredo Pelligra, tutti assolti perché “il fatto
non sussiste”.
Infine,
dei rinviati a giudizio, con la sentenza, sette sono stati
assolti e due condannati: Marco Plebani (2 anni e 11 mesi) e
Francesco Scullino (4 anni e 6 mesi) per reati legati all’evasione
di imposte sui redditi di società edili loro intestate e per reati
tributari legati all’utilizzo di “F24” fittizi, le cosiddette
illecite compensazioni.
Tornando all’analisi del contesto ambientale
del ritrovo del 24 Novembre, tra i presenti al summit di Orzinuovi si
registra la presenza di Vincenzo Natale che assieme al fratello
Rocco, come emerge da un altro procedimento giunto al primo grado di
giudizio, è protagonista dell'universo
Conar: I due sono calabresi di
Oppido Mamertina e sono considerati vicini alla 'ndrangheta locale.
Nel processo a loro carico sono stati condannati nel luglio scorso in
quanto assieme ai fratelli Moretti, Ennio e Renato (il primo ex
consigliere regionale della Lega nord), erano parte di un
meccanismo associativo finalizzato alla commissione di reati
tributari realizzati avvalendosi di società cartiere.
Il summit di Orzinuovi lega, quindi sia i
presunti mafiosi calabresi, desiderosi di espandere i propri traffici
di droga, sia alcune figure, diciamo pulite, con interessi
nell'economia legale e anche in politica. Si tratta di due mondi,
quello dell'illecito e quello del mercato legale, che dialogano e si
alimentano a vicenda.
2. Contrasti interni al gruppo e riferimento
al Locale di ‘ndrangheta
Ad offrirci un interessante spaccato del
contesto in cui si muovevano gli imputati interviene un evento
particolare. Il 12 Febbraio del 2008, Giuseppe Piromalli, Damiano
Gallace, Gregorio Riganò, Francesco Scullino e Antonio Taverniti si
recavano a Genova per presenziare al funerale di Antonio Rampino,
come le tradizioni di ‘ndrangheta insegnano in ossequio ad un
reciproco rispetto tra famiglie. Rampino è un anziano ‘ndranghetista
coinvolto negli anni 2000 nell’indagine “Maglio” nella quale
veniva ritenuto essere a capo della Locale di Genova.
Piromalli e Gallace, intercettati, stanno discutendo per organizzare un carico ingente di droga e da lì si lasciano andare a considerazioni con le quali appare evidente la messa in discussione della leadership del presunto capobastone della Locale lumezzanese, Rachele Salvatore.
Piromalli e Gallace, intercettati, stanno discutendo per organizzare un carico ingente di droga e da lì si lasciano andare a considerazioni con le quali appare evidente la messa in discussione della leadership del presunto capobastone della Locale lumezzanese, Rachele Salvatore.
Giuseppe
Piromalli: Turi...rinunciamo a Turi...(RACHELE
Salvatore – ndr) a noi non ci piace qual è la sua
convinzione...perché abbiamo questa convinzione che ci
hai portato tu (riferito a TIGRANATE - ndr), non ce la
siamo fatta noi...” così quasi, quasi ... mi metto
un"LOCALE" proprio...però tutti d'accordo e ci
distacchiamo ... Così ci prendiamo
questo, ci facciamo anche la
Val Sabbia...con un nuovo "LOCALE" a
Sarezzo...in qualsiasi posto ci apriamo, ci apriamo
un LOCALE per noi..
Il termine usato da Piromalli è espressione
del prima richiamato gergo ‘ndranghetista. Esiste poi un richiamo
indiretto a quelle che sono le strutture e le modalità di
organizzazione della ‘ndrangheta (così come la maxi operazione
Crimine-Infinito del 2010 ha certificato anche giudiziariamente)
nelle doglianze di Piromalli che, per poter dar vita al proprio
sodalizio criminale, necessita del benestare di alcune figure
calabresi, in particolare di Giovanni Tigranate (vedi primo
paragrafo).
CONCLUSIONI
Come da premessa, i quattro imputati sono stati assolti dall'accusa
di associazione per delinquere di stampo mafioso: lo stesso pm ne ha
chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste. Sono
mancate, in buona sostanza, le prove necessarie a dimostrare
l’esistenza di un sodalizio mafioso, operativo a Lumezzane.
Affinché possa dirsi che c'è un'organizzazione mafiosa, rilevante
sotto il profilo penale, deve esistere un gruppo criminale che per la
sola propria “fama criminale” sia in grado di esercitare una
forza d'intimidazione tale da produrre sul territorio le condizioni
di assoggettamento e omertà. Se fossimo in un territorio di
tradizionale insediamento di organizzazioni mafiose, la prova di
questi requisiti sarebbe molto più agevole, viste le tipiche
condizioni ambientali. Mentre in una provincia come quella bresciana,
elementi di prova idonei a sostenere un accusa in regioni come
Sicilia, Calabria, Campania, si rivelano insufficienti.
Se questa è la prospettiva giuridica, quello che a noi interessa
studiare è il contesto bresciano. Siamo ben consapevoli delle
differenze enormi che passano fra il un radicamento mafioso
consolidato, come è quello delle mafie storiche nei territori
d’origine, ed il fenomeno della colonizzazione dei territori del
nord Italia. L'indagine Mamerte, come abbiamo visto, si colloca su
un'esperienza decennale fatta di indagini e processi che hanno
accertato la presenza di figure legate ai clan. L'interesse che li ha
condotti in provincia di Brescia è prevalentemente economico: si
passa dalla ricerca del profitto legata al traffico di sostanze
stupefacenti, al reimpiego di capitali nell'economia legale.
Quest'ultima strada consente alle famiglie di intraprendere attività
già di per sé molto remunerative, entrando in contatto con altri
tipi di criminalità economica non mafiosa, ma che costituisce
una forte zona grigia dove i vari interessi si incontrano.
Inoltre, all'occorrenza, l'organizzazione mafiosa può tornare a
sfruttare la propria capacità peculiare, ovvero quel metodo fatto di
violenze e minacce, per realizzare una vera e propria concorrenza
sleale.
Questo modus operandi appare consolidato alla luce degli
esisti di importanti inchieste giudiziarie che hanno interessato
diverse provincie lombarde, una su tutte Milano, e delle conclusioni
di autorevoli studi sulla criminalità organizzata. Inoltre,
organizzazioni criminali come la 'ndrangheta, sono caratterizzate da
una naturale propensione all'espansione oltre i confini dei luoghi di
provenienza, non solo al fine di riutilizzo di capitali illeciti, ma
soprattutto per conquistare nuovi territori. Sono tutti
elementi di conoscenza del fenomeno che, alla luce delle circostanze
di cui stiamo parlando, devono quanto meno mettere in guardia
rispetto al pericolo che si corre.
Quindi, ripartendo dai fatti oggetto dell'indagine Mamerte, possono
cogliersi riferimenti a usi e costumi riconducibili ad una tradizione
'ndranghesta: il capretto sgozzato e il santino bruciato rinvenuti
nella Cascina di Orzinuovi, i continui riferimenti ad una “Locale”,
sono il segnale della presenza anche sul territorio bresciano di
dinamiche ben note, che comunque ad oggi non hanno
probabilmente raggiunto un livello di controllo del territorio
tale poter integrare il delitto di associazione mafiosa. Ma hanno
trovato un contesto idoneo alla conclusione di affari, leciti ed
illeciti, e quindi funzionale all'accumulazione di ricchezze.
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